ATTACCO DI PANICO: I 3 COMPORTAMENTI CHE LI MANTENGONO

attacco di panicoLa paura è una emozione forte e a volte dirompente! Ad un segnale di pericolo il corpo si prepara ad intervenire, innescando risposte rapide. Questa emozione non è vista di buon occhio, al contrario è vissuta come qualcosa che limita il nostro agire. Se da una parte ciò può sembrare vero, dall’altra non si può non considerare che, la natura, nel corso dei millenni di evoluzione, ce l’ha lasciata: di fatto è fondamentale per la nostra sopravvivenza! Se non avessimo paura non avremmo la percezione del pericolo e ci saremmo buttati già giù da un burrone mille volte e altrettante volte ci saremmo lasciati investire dalle auto che sfrecciano sulle strade. La paura viene nella stragrande maggioranza dei casi vissuta come un’emozione da combattere, da evitare, un male da cui stare alla larga. Spesso è valutata come qualcosa di negativo e dannoso per noi. Di fatto è proprio questa valutazione che può trasformarsi nella miccia per un attacco di panico.

COSA E’ UN ATTACCO DI PANICO?

Se la paura è una emozione naturale e sana, contrastarla ritenendola qualcosa di controproducente la rende panico.

La sintomatologia più tipica di un attacco di panico è:

  • tachicardia (sensazione che il cuore batta all’impazzata);
  • respiro affannoso;
  • brividi e vampate di calore;
  • dolore allo stomaco;
  • sensazione di vertigine e capogiri;
  • tremore.

Tali sensazioni aumentano nell’arco di pochissimi minuti; in alcuni casi appaiono senza preavviso mentre in altri sono un po’ più prevedibili (si conosce e riconosce la situazione che potrebbe generare l’attacco di panico).

La persona ha la percezione di stare per morire o di impazzire: il corpo è andato completamente in tilt.

Poi tutto cessa come è iniziato lasciando una grande spossatezza e un senso di vuoto.

COSA FARE QUANDO SI SOFFRE DI ATTACCO DI PANICO?

Tendenzialmente per cercare di risolvere il problema le persone si concentrano sulla causa, sui motivi, sulle origini. Senza nulla togliere all’importanza che certi eventi possono avere nella vita di ognuno di noi è pur vero che spesso le persone non trovano un vero “perché” dal quale tutto possa avere avuto inizio.

E quanto tempo ed energie hanno perso nel frattempo per arrivare al nulla?

E’ per questo motivo che, in più occasioni, risulta più utile concentrarsi su quei comportamenti che, nel tentativo di risolvere il problema in realtà lo mantengono, risolvendo la loro persistenza e la loro rigidità, piuttosto che andare alla ricerca della loro formazione.

E’ il modo in cui la persona reagisce a stimoli minacciosi e vi reagisce, combattendoli o fuggendoli, a rendere più probabile lo svilupparsi di un disturbo da panico.

Quali sono perciò i comportamenti che lo mantengono?

  1. EVITARE CIO’ CHE SI TEME. Forse sarà capitato anche a te, di saltare un giorno di scuola per non affrontare un’interrogazione per il quale non ti sentivi preparato, o di non andare dal medico per non sentire una possibile diagnosi nefasta, o di evitare dei luoghi per paura che potesse capitarti qualcosa. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Ma questo evitare di fatto non fa altro che preparare il prossimo evitamento rendendo ciò che temiamo sempre più insuperabile e riducendo la fiducia nelle nostre possibilità. Pian piano il numero delle situazione delle quali faremmo a meno aumenta: senza rendercene conto ci siamo chiusi in gabbia da soli.
  2. CHIEDERE COSTANTEMENTE AIUTO E RASSICURAZIONI. Se chiedere consigli è una buona pratica, farlo sempre e per ogni cosa non è produttivo. Cosa finiamo per credere di noi? Saremo ancora fiduciosi nelle nostre capacità oppure diventeremo dipendenti dal parere altrui?
  3. CERCARE DI CONTROLLARE LA PROPRIA SINTOMATOLOGIA. Quante volte sentendo un dolore e dandogli corda abbiamo avuto la sensazione che quel dolore aumentasse? Cercare di controllare è diverso da gestire. Il controllo prevede che le cose debbano andare nella direzione che io prevedo, gestire significa prendere atto, starci dentro e… lasciare andare. A questo proposito mi viene in mente una storiella che mi è stata raccontata proprio ieri sera. La storiella fa così: “Un giorno il Dalai Lama stava facendo meditazione e nel mentre un discepolo dispettoso gli diede un pizzicotto. Il Dalai Lama disse: “Ahi!” e continuò a meditare. Lo stesso discepolo diede un pizzicotto ad un altro discepolo il quale sentendo il dolore cominciò a chiedersi: “Perché mi han fatto questo dispetto? Perché proprio a me? Cosa ho fatto di male? Lo sapevo io che in questo gruppo non sono stato accolto, me lo sentivo, lo avevo già osservato in questa situazione e in quest’altra…”. Ti chiederai probabilmente cosa c’entri questa storiella con il cercare di tenere sotto controllo. Dal tuo punto di vista, chi ha sentito meno il disagio del pizzicotto? Il Dalai Lama che sentendo il dolore lo ha accolto per quello che era (un dolore fisico) e lo ha “lasciato andare” respirandoci dentro o il secondo discepolo che ha incominciato a farsi mille domande?

Ecco questo è l’effetto del cercare di controllare i sintomi della paura: li mette sotto un lente di ingrandimento, ingigantendo ciò che non necessariamente, in principio, era così preoccupante.

Elisabetta Gusmini

Psicologa Treviglio

Commenti