Confronto si, confronto no: questo è il problema

Confronto si, confronto no: questo è il problemaPer vedere noi stessi abbiamo bisogno di uno specchio, così come per conoscerci abbiamo bisogno degli altri. Di fatto però, non avendo a disposizione criteri oggettivi e misurabili attraverso i quali comprendere qualcosa di noi stessi, ci confrontiamo gli uni con gli altri.

Ma non lo facciamo a caso!

Primo, per far sì che il confronto sia sostenibile e non venga messa in discussione la stima che abbiamo di noi, cioè il valore che ciascuno attribuisce a se stesso, ci confrontiamo con individui appartenenti al nostro gruppo di riferimento (un confronto realizzato con un motociclista professionista se mi piace andare in moto, con lo chef più conosciuto del momento se adoro cucinare, con un cantante affermato se mi piace cantare… viene giudicato impari). Il secondo elemento da tenere in considerazione è che i modelli culturali influenzano sia la comprensione di noi stessi e di quanto ci circonda sia l’auto accrescimento, perciò i valori, le regole sociali, i costumi del contesto entro il quale viviamo costituiscono la lente con la quale osserviamo il mondo, lo comprendiamo e stabiliamo fino a dove possiamo spingerci.

Il confronto è quindi inevitabile? Sì!

Si perché noi partiamo da noi stessi per formulare qualsiasi tipo di valutazione. Cioè per definire quanto è “buona” o “cattiva”, “altruista” o “egoista”, “alta” o “bassa” un’altra persona, lo facciamo a partire da ciò che sappiamo e pensiamo di noi.

Tale costruzione dell’idea e del valore che ciascuno ha di se stesso, si basa sulle valutazioni sia che gli altri fanno su di noi sia su quelle che noi stessi realizziamo su di noi. E lo facciamo valutando noi stessi nel tempo (confronto temporale) o confrontandoci con gli altri (confronto sociale).

Attenzione però! Una ricerca recente (Zell e Alicke, 2009) dimostra che la nostra tendenza è di adottare per la valutazione degli altri il confronto sociale (Mario è più bravo di me a giocare a calcio), mentre su noi stessi utilizziamo soprattutto un confronto temporale (sono più bravo a giocare a calcio dello scorso anno), con delle eccezioni. Se i nostri risultati ad una qualsiasi prova continuano ad essere negativi nel tempo, tralasceremo le informazioni derivanti dal confronto temporale previlegiando quelle del confronto sociale. Al contrario, se i risultati ad una prova migliorano nel tempo continueremo ad utilizzare le informazioni derivanti da entrambi i tipi di confronto. Questo allo scopo di preservare la nostra autostima.

Ora, perché vi racconto tutto ciò?

Perché il confronto sociale e temporale sono estremamente interconnessi con la costruzione della stima di sé (autostima) e se da un lato sembra banale leggere i risultati di tali ricerche, dall’altro nel vivere quotidiano dimentichiamo quanto essi influiscono sul nostro modo di pensare e di percepirci in relazione agli altri incorrendo nel rischio di ridurre erroneamente il valore che attribuiamo a noi stessi o a chi ci sta attorno.

Sempre la stessa ricerca dimostra infatti che facciamo una gran fatica a cambiare la valutazione di noi stessi nonostante la valanga di informazioni contrarie che dovessimo ricevere, perciò è molto utile partire con il piede giusto nella costruzione di quanto pensiamo di noi.

Quindi, come utilizzare la conoscenza degli effetti del confronto sull’autostima?

Se avete a che fare con dei bambini, magari i vostri figli o i vostri alunni, come aiutarli ad imparare a gestire la propria valutazione di sé che va costruendosi con il confronto?

  1. Evitare di verbalizzare il confronto con qualcun altro che è stato migliore o peggiore del nostro bambino, ma rimandare alla sua storia tutta personale, alle sue fatiche e ai suoi traguardi.
  2. Lasciare che sia il bambino a trarre le proprie conclusioni correggendo però percezioni errate che non tengono conto del percorso realizzato.
  3. Aiutare ad individuare i propri obiettivi e accompagnare nella loro realizzazione (“come potresti fare per…?”).

Il nostro compito come adulti di riferimento perciò, è quello di far sentire i nostri figli accettati per quel che sono e di incoraggiarli ad adottare un comportamento che si avvicini a quanto da loro desiderato, trasformando il confronto con l’altro in stimolo per procedere oltre senza dimenticare però il proprio punto di partenza. Dire: “Mario ha corso più veloce di te! Sei proprio un polentone!” non è funzionale quanto: “Sì è vero, Mario ha corso più veloce di te, ma ti ricordi che il mese scorso non riuscivi a correre fino a qui? Hai voglia di allenarti per essere più veloce? Dai che lo facciamo insieme!”.

Se invece in gioco ci siamo noi, ricordiamoci che il confronto sociale è utile per stimolarci ad andare oltre se accompagnato e letto sempre con i filtri della nostra storia personale, delle nostre fatiche e dei nostri traguardi. Dimenticarla significa far crescere dentro di noi la pianta dell’insicurezza e della paura di non farcela. Dirsi: “Ho corso al meglio delle mie possibilità” è molto più utile e sano per la nostra autostima che: “Ho corso più veloce di Franca!”.

Cosa ne pensate?

Dott.ssa Elisabetta Gusmini

Psicologa Treviglio

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